Dopo partita sei delle World Series ho deciso di mantenere il silenzio fino alla fine. Quella sfida e' gia' considerata da libri di storia, se non proprio la migliore mai avvenuta alle World Series. E' indubbio, comunque, che cio' che si e' visto venerdi' finira' nell'Olimpo degli eventi sportivi. Milioni di spettatori hanno avuto l'opportunita' di vedere cio' che puo' essere considerato come alla pari con un incontro in contemporanea tra Cassius Clay e Foreman e Bobby Fischer contro Boris Spasski. Non ci sono parole ed e' inutile fare la cronaca degli eventi, gia' presente in migliaia di altri siti sportivi. I blurays sono gia' in produzione; d'altronde deve pur dire qualcosa se per la prima volta una partita di baseball ha avuto piu' spettatori televisivi di una partita di football.
Quattro ore e mezza di sfida continua, in cui mi rimane in mente, senza possibilita' di rimozione ad esclusione di un Alzheimer selettivo, un singolo pitch. Al nono inning, con due out, bastava un tiro per vincere. Un semplice tiro, uno strike e i Texas Rangers sarebbero diventati campioni. Feliz sul pitcher mound, Freese – ovvero l'eroe nato e cresciuto a St. Louis – in battuta. Quel tiro di Feliz, quel movimento, quella certezza di vincere. Come si puo' non vincere con due punti di vantaggio ad un solo tiro dalla fine? Tutto era pronto, incluso lo champagne negli spogliatoi. Pochi centesimi di secondo dopo il tiro si e' sentito quel rumore che nessun tifoso dei Rangers voleva sentire, il suono inimitabile della pallina colpita dalla mazza. E' difficile capire quale sia stato il momento in cui abbiamo realizzato che i Rangers non avrebbero vinto, se il colpo di Freese o se e' stato il momento in cui abbiamo visto Nelson Cruz rincorrere come un disperato la pallina. Sta di fatto che Feliz non ce l'ha fatta e siamo andati al decimo inning in cui la stessa storia si e' ripetuta. Identica. Senza pieta'. Hamilton porta in vantaggio i Rangers di due punti con il suo primo homerun della postseason (ha giocato tutto il tempo con un'ernia inguinale...). Eppure Berkman ha pareggiato di nuovo, rendendo nuovamente vano lo sforzo dei Rangers.
La cosa piu' stupefacente e' il finale da favola, degna dei fratelli Grimm. Entrambe le squadre avevano raggiunto un punto in cui chiunque avrebbe vinto sarebbe stato ricoperto di allori, mentre chi avrebbe perso si sarebbe chiesto per tutta la vita le ragioni. Da un lato, il ritorno di Hamilton, ritorno sia dall'infortunio che dalla dura realta' dell'alcoolismo. Hamilton avrebbe superato ogni ostacolo pur di vincere, aiutato dal suo amico Mike Napoli che poco prima schiantandosi sulla base ha rischiato la rottura della caviglia (tutti dopo aver visto il replay, in cui si vede la caviglia di Napoli stortarsi completamente ed in velocita', ci siamo chiesti come sia riuscito a rialzarsi).
Dall'altro la storia di Freese, il povero ragazzo cresciuto a St. Louis, come un Oliver Twist del baseball del Missouri.
Ha vinto la favola di St. Louis. Il suo homerun nell'undicesimo inning ha permesso la vittoria alla sua squadra. Con partita sei in mano a St. Louis, partita sette non e' stata altro che una formalita'. I Rangers hanno avuto un piccolo scatto d'orgoglio portandosi avanti di due punti per poi essere recuperati dopo pochi minuti.
Quello che rimane e' difficile da spiegare. Il bello del baseball e' la sua imprevedibilita'. Malgrado le migliaia di statistiche stilate per ogni giocatore – che ti permettono di vedere le situazioni singole ma non l'andamento del gioco – gli eventi sono inimmaginabili. Il bello del baseball e' dovuto anche alla totale assenza di un cronometro. Tutto e' deciso in base al gioco, non in base a come si gestisce il tempo. Tutto e' basato sulla capacita' dei singoli, ma anche sull'integrazione della squadra. Non si puo' prendere la palla e buttarla sugli spalti per perdere tempo. Non si puo' fare catenaccio. Non si puo' fare fallo di gioco. Il bello del baseball e' questo. E il bello del baseball e' cio' che ha distrutto i Rangers. Lo spettacolo e' stato meraviglioso, una sfida su sette partite in cui la sesta e' stata fondamentale. Ma la bellezza e' cio' che ha permesso a St. Louis di vincere. Evidentemente LaRussa, il manager di St. Louis, e' riuscito a guardare negli occhi la dea della bellezza del baseball e a vincere. Washington, manager dei Rangers e comunque incolpevole spettatore, l'ha guardata ma dev'essere rimasto pietrificato come se avesse visto Medusa. Questa bellezza – per noi rappresentata da una dolorosa sconfitta – non lascia semplicemente l'amaro in bocca. Sarebbe facile se ci fosse solo questo. Tutti e cinque i sensi sono coinvolti. Si possono ridisegnare le singole occasioni, le singole azioni, ma non avrebbe senso. La mente pero' non puo' e non riesce a staccarsi da quel pitch di Feliz, quello che doveva essere il tiro della gloria. Pero' la mente e' consapevole che non e' quello l'elemento determinate; nel grande disegno del baseball Feliz non ha colpe. E' duro perdere dopo aver visto la Bellezza, e' duro dire che ella non ci piace. E' duro perche' non e' vero. In realta' ci e' piaciuto, abbiamo veramente goduto nel vedere quello spettacolo che ricorderemo anche tra decenni a questa parte. Sappiamo che anche chi non e' appassionato al baseball ha apprezzato lo spettacolo, sappiamo che noi l'abbiamo visto e anche coccolato. Tutti noi che abbiamo l'opportunita' di andare al ballpark speriamo e preghiamo di vedere partite del genere, sfide in ogni parte in cui basta un piccolo evento per far crollare tutto. Partite in cui una singola azione ha l'opportunita' di far soffrire e far perdere la testa a professionisti pagati milioni di dollari per mantenere tutto sotto controllo. Questi eventi ci consentono di vedere che persino loro sono umani e non sono nient'altro che pedoni, spesso piazzati male, nel grande gioco del baseball ovvero quel gioco che impietoso passa sopra ogni persona che prova a mettersi in mezzo al suo tragitto.
Abbiamo visto il grande show, ma a noi tifosi della squadra sconfitta cosa rimane? Non lo so definire, ma rimane un'odore dolciastro, simile all'odore della legna di qualita' decente ma un po' umidiccia che viene bruciata per fare un falo'.Adesso che questo fuoco si sta affievolendo si sente quell'odore particolare, inimitabile.
Abbiamo visto il fuoco, e l'abbiamo visto per tutte le 162 partite che i Rangers, come ogni altra squadra, hanno giocato nella regular season. Abbiamo visto gli alti e bassi di quei giocatori di cui ci siamo inebriati, con cui abbiamo sudato e gioito. Quelle persone che con i loro alti e bassi, con i loro records e con i loro errori ci hanno regalato giornate indimenticabili. Quei giocatori, che come Cruz ci hanno fatto gioire. Come Napoli che, preso ad inizio stagione come scamorza e rifiutato da piu' squadre, si e' rivelato il giocatore piu' importante della squadra. Come Young e la sua battaglia pre-season contro lo stesso ufficio dei Rangers. Per noi, tifosi dei Rangers, rimarranno eroi indipendentemente dal risultato finale di questa stagione.
Grazie a loro sappiamo di aver visto delle fiamme stupende che hanno illuminato la notte ma di cui ora rimane poco. Gli occhi ci fanno un po' male, il contrasto tra il buio e il fuoco ci ha un po' storditi. Ma quell'odore non va via, aleggia nell'aria come a significare la fine, la mancanza di qualsiasi altra possibilita' di ritorno. Sappiamo che tra pochi mesi torneranno le fiamme, la stagione ricomincia ad aprile. Ma non e' possibile ragionare cosi' avanti nel tempo. Abbiamo assistito ad una performance troppo bella per far finta di niente e passare avanti.
Il grande show ha reso i vincitori degli eroi mentre noi siamo stati resi piu' sensibili a questo senso olfattico fortissimo: il meraviglioso, incredibile, stupefacente e assurdo odore che esiste solo con il fuoco della sconfitta.